La prima cosa che ti consigliamo di fare, se deciderai di intraprendere il cammino di S.Filippo Neri, è di farti aggiungere al gruppo di Whattsapp dove gli amici del cammino, disseminati su tutte le tappe, potranno aiutarti in caso di bisogno! Ecco i numeri da contattare: Filippo 333 98 63 950, Erika349 26 37 894, Federico 339 88 73 150, Carla 328 921 1361
Il Cammino di San Filippo Neri prende avvio da Cassino, città ricostruita dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale.
Un primo incontro significativo è presso l’Hotel La Pace, dove si trova un piccolo ma prezioso Museo dedicato alla Linea Gustav: fotografie, cimeli e racconti riportano alla memoria le vicende del 1944 (contatta Pino – 329 266 5818).
Poco distante, si incontra una realtà viva e contemporanea: gli Horti di Porta Paldi, curati dall’associazione Eqo, che ha restituito ai cittadini un polmone verde sottratto alla cementificazione. È un’oasi di socialità e resistenza civile; se passi da lì prova a chiamare Tiziano – 346 341 0311.
Una tappa d’obbligo è l’incontro con zia Irma, a Sant’Angelo in Theodice: la pellegrina più “diversamente giovane” del cammino. A 95 anni accoglie i viandanti con energia e sorriso, custodendo la memoria di un tempo lontano. Da lei, che la guerra l’ha vissuta in prima persona, potrai ascoltare racconti autentici e scoprire perché questo paese custodisce così tanti monumenti dedicati alla memoria (contatta 333 881 2573).
Proseguendo, il percorso conduce sulle sponde del Gari, in via Mutaro, quasi al punto in cui le sue acque incontrano quelle del Liri, dando vita al Garigliano. Qui si conservano i pochi resti di un antico ponte romano e, nelle calde giornate estive, i pellegrini amano ristorarsi lungo il fiume (Coordinate resti del ponte: . Coordinate della Giuntura Gari-Liri )
La giornata si conclude a Sant’Ambrogio sul Garigliano, dove il cammino incontra le radici più autentiche del territorio. Qui si può visitare gratuitamente il museo “Le Nostre Radici”, creato da Fiorenzo (contattalo al 366 448 6112), ultr’ottantenne custode della memoria contadina, che ha raccolto attrezzi, utensili e testimonianze di un mondo ormai scomparso.
Puoi anche contattare Simona (347 439 8634), delegata dall’Amministrazione Comunale al Cammino: se disponibile sarà felice di raccontarti i segreti e le bellezze di questo piccolo e panoramico paese.
Lasciato Sant’Ambrogio, dopo aver timbrato la credenziale presso la Casetta del Timbro sul lungofiume, ti accoglierà Luigi (333 176 8626), che porta avanti con passione l’antica tradizione del miele ambrosiano. I primi documenti che ne attestano l’esistenza risalgono addirittura all’XI secolo: un filo dolce che lega passato e presente.
Proseguendo, si attraversa il Rio delle Pecore, un piccolo corso d’acqua che, se la fortuna accompagna il viandante, regala l’incontro con la testuggine palustre europea (Emys orbicularis), una specie rara e preziosa.
Poco più avanti si raggiunge la Fonte di Salomone, luogo suggestivo e carico di storia. Un tempo era conosciuto come Crypta Imperatoris, la grotta che – secondo la tradizione – Carlo Magno visitò nel 787. Lì, tra roccia e acqua sorgiva, si respira ancora il fascino di quell’antico passaggio.
Giunti infine a Sant’Andrea, c’è la possibilità di incontrare un gruppo di signore locali che stanno riportando alla luce l’arte delle riggiole, le tipiche maioliche decorate della tradizione. Un saper fare antico che riprende vita grazie a mani pazienti e creative (contatta Elisa – 392 936 4588).
Da Sant’Andrea o da Bosco d’Olmi, a seconda che tu scelga il percorso a piedi o quello in MTB (che in realtà si può fare anche a piedi – e ad alcuni piace persino di più perché attraversa due piccoli centri storici), per arrivare a Coreno bisognerà comunque passare da Vallaurea.
Si tratta di una valletta a 600 metri di altezza, apparentemente insignificante, ma che in realtà custodisce una storia intensa e struggente, legata soprattutto alla Linea Gustav e alla Seconda Guerra Mondiale.
Se passerai da Sant’Andrea e Vallemaio prova a cercare Federico (339 887 3150) o Rocco (366 427 4900): sapranno raccontarti le storie e le memorie di questi due paesi.
Quando arriverai a Vallaurea, guardati intorno e pensa che più di 80 anni fa qui correvano due fronti: i tedeschi alla tua destra e gli alleati (soprattutto inglesi e francesi) dall’altra parte. Nei rari momenti di tregua scendevano insieme a cercare acqua, ma in tutti gli altri si combattevano senza sosta. Nei primi giorni di febbraio 1944 qui si consumò una tragedia che ancora oggi ha lasciato i suoi segni sul territorio.
Giunto a Coreno, contatta Salvatore (349 535 4908): se può, ti aprirà il Museo dedicato alla Linea Gustav, la sua grande passione. Il suo racconto ti resterà a lungo nel cuore.
Se invece vuoi una visita guidata nel bellissimo centro storico, cerca Franca “l’Inglese” (388 572 6320): sarà felice di accompagnarti alla scoperta di tanta bellezza.
La persona delegata dal Sindaco al Cammino è Cristina (338 125 0936): grande innamorata del territorio, ama affrontare e risolvere questioni impossibili!
Scendendo lungo via Serra, il paesaggio si apre sul massiccio di Monte Fammera, così chiamato perché ricorda una Flammula, una piccola fiamma che si innalza verso il cielo. Qui si nasconde un piccolo segreto del passato: la Preta Bianca, un puntino chiaro incastonato nella roccia. Non è un dettaglio qualsiasi, ma il vero orologio dei cavatori di pietra di Coreno. Non potendo udire le campane della chiesa per via del rumore assordante e delle protezioni sulle orecchie, i cavatori guardavano l’ombra che, giunta a mezzogiorno, toccava la pietra bianca. Un segno semplice, eppure prezioso, che regolava il ritmo della vita e del lavoro. Pensa che i cavatori si organizzano periodicamente per andare a pulire/rinnovare il bianco della pietra!
Ai piedi della discesa, presso la fontana del sottopassaggio, una sosta golosa è d’obbligo: un caseificio artigianale che custodisce il gusto autentico della tradizione. Le mozzarelle, freschissime, restituiscono la forza e la dolcezza di queste terre.
Proseguendo il cammino si raggiunge il Santuario della Madonna del Piano, cuore spirituale e meta di devozione. Se contattata, Angela 348 69 17 768 – custode di storie e di memoria – può narrare i prodigi e le vicende che legano la comunità a questo luogo sacro. Qui i pellegrini possono apporre anche uno dei timbri del Cammino (nella sagrestia interna).
Poco oltre, e un po' di salita più avanti, un’altra perla si offre allo sguardo: la chiesetta della Madonna di Correano, che custodisce anch’essa un timbro e rappresenta un’oasi di pace in un luogo meravigliosamente e tipicamente mediterraneo. Correano rappresenta degnamente il processo di trasformazione attraverso cui i templi e le costruzioni di origini romane divennero cristiane. Da qui la salita si addolcisce, e il cammino conduce verso Esperia, meta della tappa, dove è presente la panchina di San Filippo Neri, il luogo dove è nato questo Cammino. Ad accogliere i pellegrini spesso c’è Annarosa 392 092 9521, amica del Cammino, pronta a raccontare il legame profondo tra San Filippo Neri e la storia del suo paese.
Uscendo dal borgo medievale di Roccaguglielma, la parte alta di Esperia, fate provvista d’acqua: i Monti Aurunci, essendo carsici, non hanno sorgenti. Dopo appena due chilometri si entra nello spettacolare canyon del Rio Polleca, un torrente carsico che ha scolpito la roccia creando suggestive colonne naturali. Tra queste spicca la formazione detta “la Madonnina”, per la sua sagoma slanciata che sembra una statua votiva.
Proseguendo si incontra la cappellina e poi la grande roccia di Sant’Onofrio, legata a un’antica leggenda popolare: si narra che il santo abbia fermato il masso con la sola forza della sua mano, e ancora oggi si vedono i segni delle “dita” impressi nella pietra.
La valle di Polleca vi accoglie poco dopo, celebre per la produzione della Marzolina di Esperia, il tipico formaggio caprino che ancora pochi pastori locali custodiscono con orgoglio. Ma questo luogo conserva anche memorie più dure: qui, durante la Seconda Guerra Mondiale, si consumarono gli episodi tragici delle “marocchinate”, raccontati nel romanzo e nel film La Ciociara. Nei pressi della vecchia cisterna, una breve deviazione conduce al monumento alla Donna di Esperia, semplice ma toccante omaggio a quelle vicende. Se vuoi approfondire puoi contattare Patrizio (335 544 2417), un grande appassionato del suo territorio. Ricordati però che tra S.Onofrio e la Forcella di Fraile il cellulare non ha campo!
Lasciata Polleca, si entra nella remota valle di Fraile, una delle più selvagge del Parco dei Monti Aurunci. Qui una giovane coppia ha creato un lavandeto suggestivo, visitabile durante la fioritura tra giugno e luglio, quando i colori e i profumi della lavanda trasformano l’altipiano in un angolo di Provenza laziale.
Il cammino prosegue in salita fino a raggiungere uno dei punti più spettacolari dell’intero itinerario: il Monte Redentore. Qui, ai primi del ’900, papa Leone XIII volle erigere la grande statua del Cristo Redentore, che domina dall’alto un panorama fra i più ampi e straordinari al mondo. Con un solo sguardo si abbracciano l’Appennino centrale, il Matese, il vulcano spento di Roccamonfina, il Vesuvio, il golfo di Napoli, le isole di Capri, Procida, Ischia, Ventotene e Santo Stefano, fino a Formia, Gaeta e l’arcipelago pontino con Ponza, Zannone e Palmarola.
La discesa riserva ancora sorprese: a meno di un chilometro, l’Eremo di San Michele Arcangelo, costruito inglobando una vasta grotta naturale, custodisce secoli di devozione e silenzio. Poi, con il mare sempre davanti, si scende verso il Rifugio Pornito e l’antico borgo pastorale di Filetto, un tempo rifugio di saraceni e briganti.
Dal bivio Campone, alle porte della valle di Filetto, il Cammino entra subito in un paesaggio intimo e silenzioso. Per circa tre chilometri e mezzo si attraversa l’intera valle, un corridoio naturale racchiuso tra versanti boscosi e antiche tracce di vita pastorale. Le poche case sparse, spesso abitate solo d’estate, ricordano la transumanza e le attività agricole che per secoli hanno modellato questi luoghi. Resistono qui alcuni pastori che producono formaggi buonissimi (Lorenzo Minchella 3687786348, solo whattsapp).
La strada prende poi a salire dolcemente verso il valico di Filetto, sfiorando quota 1000 metri: è il punto più alto della giornata. Da qui lo sguardo si apre su un ambiente di grande quiete, fatto di crinali morbidi, faggi isolati e piccoli pianori che raccontano la vita semplice delle montagne aurunche.
Raggiunto il grande Faggio di Valle Piana, il Cammino propone una scelta: a destra un sentiero ombreggiato, più facile e regolare, ma più lungo e meno panoramico; a sinistra un percorso più breve e impegnativo, che nell’ultimo tratto regala vedute sorprendenti sulla piana di Campello. È proprio questa piana, Campello, a essere ricordata come la patria di Fra Diavolo, il celebre brigante gentiluomo che tanto affascinò lo scrittore francese Théodore Géricault e altri viaggiatori del Grand Tour, nonchè di Francois Auber,importante musicista francese del XIX secolo (si tratta di quella canzoncina famosa del film di Stanlio e Ollio). Dopo aver lambito uno stazzo di pastori con un portico bisognerà attraversare una rete di fianco ad un cancello più grande (a sinistra rispetto al cancello che potrebbe essere chiuso)
Chi sceglie il sentiero di sinistra attraversa anche la suggestiva Valle Torre, un luogo particolare dove vivono allevatori-speleologi che, a causa della totale assenza di sorgenti in superficie, si calano nelle grotte delle viscere della montagna per procurarsi l’acqua. Una testimonianza vivissima del carattere carsico e selvatico di queste terre.
Il cammino si fa poi più dolce avvicinandosi al Passo San Nicola, dove un’antichissima croce in pietra ricorda gli antichi pellegrinaggi che da secoli percorrono queste alture.
Da qui, in breve, si raggiunge il Santuario della Madonna della Civita, meta finale della tappa: un luogo amatissimo e per secoli punto di riferimento spirituale di tutta la zona. Dalla terrazza del santuario, lo sguardo corre verso il mare e sulla costa di Itri e Gaeta, anticipando la discesa dell’ultima giornata di cammino. Approfondite e chiedete qui della storia del quadro della Madonna della Civita, attribuito a San Luca evangelista.
Itinerario spirituale nella storia, nella natura e nella leggenda della Montagna Spaccata
La settima tappa del Cammino di San Filippo Neri parte dal Santuario della Madonna della Civita, luogo amatissimo dai pellegrini di tutta la provincia di Latina. Da questo balcone naturale sul Golfo, il percorso scende verso Itri, patria delle celebri Olive di Gaeta: un paradosso gastronomico che trova spiegazione nella storia.
La varietà, infatti, è Itrana e nasce nelle campagne del borgo aurunco; ma per secoli i barili sono partiti dal porto di Gaeta, verso Napoli e il Mediterraneo, e così il nome “Olive di Gaeta” si è imposto nella tradizione commerciale.
Itri non è solo olive:
trasforma il frutto in salamoia, in olio (Ilenia 349.6798897)
ma custodisce anche una rarità unica nel mondo: le olive ricoperte di cioccolato fondente, prodotte dalla cioccolateria artigianale Chocolart (Francesco329.2933054) un’esperienza di gusto sorprendente.
Qui nascono salumi tradizionali come la salsiccia con la “Pitarta” (coriandolo) (macelleria Pelliccia 380.3407125) e nuove specialità come le salsicce aromatizzate con pasta di olive (macelleria Capirchio 3314984641)
Il paese è dominato dal Castello Bizantino, la cui torre pentagonale – rarissima – risale all’882. Attraversando il borgo, i camminatori possono contare sull’amicizia di Antonio Masella (347.6319080), guardiaparco in pensione e prezioso “Amico del Cammino”, sempre felice di raccontare storie, luoghi e curiosità di questo territorio ricchissimo.
Lasciato il centro abitato, la tappa prosegue su un antico tratturo che lambisce la Grancia Cistercense di San Vitale, un tempo grande cisterna romana di una villa patrizia.
L’area tra Itri e Gaeta è straordinaria dal punto di vista archeologico: resti, ville, cunicoli e opere antiche emergono ovunque, molte delle quali meriterebbero ben maggiore valorizzazione.
Arrivati alla rada di Gaeta, si percorre un tratto dell’antica linea ferroviaria dismessa da oltre 60 anni, fino a raggiungere via Indipendenza, cuore del quartiere popolare voluto dai Borbone e un tempo chiamato “Elena” in onore della regina.
Gaeta appare qui in tutta la sua bellezza:
antica Repubblica Marinara fino al XII secolo,
ultimo baluardo dei Borbone nel 1860,
scrigno di monumenti straordinari spesso poco noti, come la Cappella d’Oro, il Tempio di San Francesco e la stessa Montagna Spaccata.
Il Cammino termina proprio qui, nella suggestiva cappellina del Crocifisso, costruita nel XV secolo su un masso roccioso staccatosi da una delle tre fenditure che caratterizzano la Montagna Spaccata. Secondo la tradizione, queste spaccature ricordano quelle avvenute al momento della morte di Cristo, rendendo questo luogo un simbolo potentissimo della cristianità.
Una tappa intensa, ricca di devozione, storia e meraviglia, che conduce il pellegrino fino al cuore di una delle mete spirituali più iconiche del Mediterraneo.